Infine, è doveroso menzionare una verdura spesso messa in secondo piano rispetto al carciofo, benché molto vicino a esso: il cardo. Questa pianta, di antichissime origini, era già presente sulle tavole dei romani che la utilizzavano in svariate ricette. In poche parole, la differenza tra cardo e carciofo consiste nel fatto che, se del carciofo si mangia il capolino (il carciofo propriamente detto) e si butta via il gambo, del cardo si mangia esclusivamente il gambo.
Anche se, geneticamente, ne sarebbe il genitore, il cardo rappresenta il “fratello povero” del più apprezzato carciofo: un ortaggio dalla storia silenziosa e sommessa, che ha continuato a nutrire i poveri contadini, anche quando il carciofo spopolava in Europa e deliziava i palati di personaggi importanti come Caterina De’ Medici e il Re Sole; un alimento che conserva ancora un piccolo ruolo nella nostra cultura alimentare di oggi, più per tradizione che per utilità. Il cardo viene consumato nei giorni immediatamente successivi alle feste più importanti, in brodo o al forno, se possibile con l’aggiunta di carne d’agnello e qualche uovo, nel cosiddetto “ciambòtto”. Una ricetta umile, semplice, povera, che fa contrasto con il banchetto luculliano del giorno precedente, quasi a voler richiamare severamente il commensale, dopo la ricca e (dispendiosa) festa, al ritorno alla vita di tutti i giorni, fatta di lavoro e sacrificio. E’ in questi piccoli frammenti di poesia che sopravvive, nella vita di oggi, la civiltà contadina.
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