La raccolta
La raccolta delle olive è un rito che profuma di storia, è fatto di gesti che rimandano ad epoche lontane e ricordi ancora molto intensi perché, in fin dei conti, nel lavoro di oggi non c’è molto di diverso dal lavoro di ieri. Una congiunzione tra passato e futuro, nel segno di un rito che si protrae nei secoli.
In passato, le olive venivano staccate, pensate, a mano, una ad una, e subito riposte in dei sacchi a tracolla che, evitando il prolungato contatto delle olive con il terreno, scongiuravano fermentazioni che avrebbero penalizzato la qualità del prodotto finale. In sostituzione della mera mano del contadino, spesso erano utilizzati degli speciali “pettini” che, scorrendo sul ramo, tiravano via le olive più agevolmente. Questa tecnica sopravvive tutt’oggi, seppur in rarissimi casi.
La tecnica più diffusa attualmente consiste nell’utilizzo di lunghe verghe, con le quali si percuotono i rami e il tronco per provocare la caduta delle olive: queste precipitano su appositi teli, posizionati alla base della pianta e attorno ad essa, che poi si tirano, a guisa di grande sacca, e vengono svuotati sui cassoni dei trattori. Tutto questo rende il lavoro più rapido, seppur meno “romantico” data la violenza con cui gli alberi vengono “picchiati”.
Negli ultimi decenni, però, si riscontra la diffusione, in sostituzione delle verghe, di moderni e costosi macchinari, che “abbracciano” il tronco dell’albero per poi scuoterlo energicamente, in modo tale da provocare la spontanea caduta delle olive sui teli.
Come abbiamo visto, nel corso dei secoli le tecniche di raccolta delle olive si sono evolute, unicamente a vantaggio dei tempi di esecuzione e della fatica dell’uomo, rendendo forse un po’ diversa quell’atmosfera tipica, quasi intima, di contatto tra l’uomo e l’albero, in un gesto che racchiudeva grande amore e rispetto per la pianta, e che riscaldava il cuore del contadino in quelle fredde giornate di fine anno. Giornate che diventavano una festa, con quei frutti che significavano prosperità e fortuna, e che finalmente segnavano l’arrivo del giusto premio dopo i sacrifici di un anno.
Atmosfera che capita di respirare, a tratti, ancora oggi, nella civiltà del benessere che ha, forse, smagrito l’importanza di questo rito ma che, nonostante il tempo, mostra ancora il suo stretto legame con la terra. Ed è in una figura in particolare che si riconosce ancora la poesia di un tempo, una figura che esiste da sempre e che, forse, non cambierà mai: quella dello spigolatore. La persona che, a fine raccolto, con grande umiltà e sacrificio trascorre la giornata chino a raccogliere le olive che sono sfuggite ai teli e sono rimaste a terra. Un lavoro di grande fatica, anzi, il più faticoso, ma che, paradossalmente, è il meno redditizio: vale la pena di spaccarsi la schiena dall’alba al tramonto per pochi chili di olive? Forse, economicamente, no, ma è un gesto dovuto, qualcosa che si deve fare e basta, è un estremo segno di amore e rispetto per una pianta che ci dà molto, e di cui non va sprecato niente.